"Chi ha la lingua passa il mare"

1947, la guerra è finita, ma la povertà non ha mai abbandonato il sud: esce dai "cannoli" degli abbeveratoi, si trova sui piatti, sotto le coperte, accompagna le persone, è il nome della vita dei miseri è, come dire, il marchio Siciliano.
Ed è proprio in Sicilia, la mia terra, che narrerò la storia di Gioacchino che emigrò in Francia. Gioacchino era nato a Serradifalco, un paesino all'interno della Sicilia.

Viveva in Largo Buoncuore e a sedici anni emigrò da clandestino. La notte in cui partì in treno sembrava avessero rapito la luna, il cielo pareva una macchia di petrolio e le sue tasche erano piene di speranza.
Durante il tragitto nella sua testa si mescolavano reminiscenze, ricordi di compatrioti che come lui avevano intrapreso lo stesso viaggio e chissà, magari si erano seduti proprio nel suo stesso posto.
Dopo ore infernali di lunga attesa, arrivò in Liguria, qui ad attendere i clandestini vi era un uomo che li fece passare attraverso un viottolo così stretto, che dovettero mettersi in fila indiana.
Non appena passarono il confine, consegnarono una cospicua somma di denaro all'uomo sconosciuto  e poi ognuno per la sua strada.
Gioacchino assieme al compagno Gaetano si diresse verso Alès: dove ad attenderli c'era suo padre. Proprio lì in Francia, Gioacchino avrebbe iniziato la sua nuova vita; lui e l'amico Gaetano in sella alla bicicletta raggiungevano la piccola cittadina di La Grand-Combe, le cui ricchezze erano le miniere: più luoghi di morte che di speranza.
Gioacchino
Quelle stesse miniere che erano maleodoranti di dipartita, dove corpi nudi che avevano strappato via la pudicizia assieme ai loro vestiti lavoravano più di dieci  ore al giorno. La prima volta che Gioacchino vide le miniere provò vergogna, vergogna per la nudità del suo corpo, rabbia per quelle pareti così fredde che lo facevano sentire ancora più solo; sentiva come se quell'aria malsana  gli punzecchiasse i polmoni come piccoli aghi, la nebbia causata dal carbone lo faceva inginocchiare e gattonare per cercare più sicurezza su quel suolo sporco come i suoi occhi rossi di lacrime. Gioacchino aveva venduto, dato e fatto tanto per vivere ora nell'ombra, in cui Gaetano sarebbe morto poi, sei anni dopo a causa di una fuga di gas.  Trent'anni, trenta intramontabili anni Gioacchino sarebbe rimasto lì, tra razzismo subito, sporcizia e nostalgia. Gioacchino lì scoprì il comunismo: scorse una volta un gruppo di compagni messi in cerchio a passarsi del pane, loro quello lo chiamavano "Comunismo" e da lì in poi il comunismo entrò nel suo pensiero, nel suo io più profondo così iniziò a farsi spedire dalla madre i libri di Antonio Gramsci.
In seguito avrebbe poi conosciuto Concetta, donna con la quale si sposò ed ebbe due figli.
Concetta
Ma Gioacchino sentiva un suono più forte dei martelli che scalfivano la roccia, delle urla di qualche compagno ferito, sentiva il richiamo della sua Sicilia, la terra dei migranti, la terra dei suoi affetti, la terra del suo respiro.
Gioacchino ritornò in Sicilia, tuttavia, fu costretto a rientrare in Francia e a ricominciare tutto da capo e intendo proprio tutto: quando la casa che fece costruire nelle vicinanze del suo paese crollò a causa di una frana, perse molti soldi.
Gioacchino non perse soltanto la sua Sicilia, ma nel '93 Concetta morì, a causa di un tumore al cervello che la privò della vista.



Oggi Gioacchino ha ottantasette anni, vive ancora ad Alès, si è risposato con Maria, una donna di nazionalità polacca, gode di un'ottima pensione, ma non posso dire lo stesso della sua salute.

Commenti

Post più popolari